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Vini arancioni: tra nuovo trend e ritorno al passato

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I vini arancioni hanno preso di nuovo piede, durante gli ultimi anni. Sono considerati un tipo di vino nuovo, “new category” per chi decide di bere un tipo di vino diverso. In realtà i vini arancioni esistono da migliaia di anni, vengono prodotti grazie ad un procedimento semplice ma antico, provengono dal vitigno per vino bianco ma hanno una vinificazione completamente diversa. Andiamo a scoprire la storia dei vini arancioni, nuovo trend re-introdotto nel mercato mondiale, per un prodotto che assicura, in ogni caso, un’ottima qualità.

I vini di macerazione

I vini arancioni sono vini che vengono prodotti, come abbiamo sopra accennato, da vitigni a bacca bianca, con una macerazione più lunga. Sono dei vini dal colore ramato, ambrato. L’espressione “vino arancione” è ritornata di tendenza per molti appassionati del vino, grazie ad un importatore inglese che l’ha coniata nel 2004. Si tratta di un termine ben specifico, così come “pét-nat”, l’abbreviazione del francese pétillant naturel, ossia i vini rifermentati in bottiglia. Normalmente andrebbero chiamati “vini di macerazione”. La macerazione che avviene nei bianchi classici è dovuta al contatto tra bucce e mosto, per una durata di 24 ore max. In seguito il mosto viene privato delle bucce e viene fatto fermentare. Procedimento opposto che si fa per i vini rossi, dove lo “skin contact” fa cambiare consistenza, colore ed aromi. Questa “skin contact” viene chiamata macerazione pellicolare, cioè si produce un vino bianco come se fosse rosso. Un vino bianco, quindi, grazie al contatto con le bucce, può acquisire una colorazione arancio ma non tutti i vini macerati sono vini arancioni, in quanto vi sono bianchi che, stando a contatto con le bucce per un tempo così breve, non assumono quella colorazione arancione o ambrata. La capacità di conservazione del vino senza l’aggiunta di solfiti è dovuto alle uve sane e dallo sfoltimento dell’uva, pratica che aumenta l’autodifesa della vite. La produzione di vini arancioni richiede molto impegno ed un utilizzo di metodi naturali ed eco-sostenibili, con procedimenti biodinamici o demeter. Le quantità ricavate sono molto poche, e ciò giustifica anche il costo elevato del prodotto.

Il problema dei vini arancioni è che non sono sempre arancioni ma possono avere altre colorazioni: possono essere bianchi, arancio chiaro o marrone chiaro. Si tratta di un termine accattivante per il marketing ma che potrebbe far cadere nella scelta sbagliata un bevitore poco esperto. Nel 2018 Marissa A. Ross, autrice della rivista americana Bon Appetit ha condotto una campagna di sensibilizzazione sul tema dei “vini arancioni”, affermando che:

Il termine “vino arancione” vi limita come bevitori di vino. Vi imprigiona dentro a un colore, e visto che i vini di macerazione pellicolare possono essere prodotti con qualsiasi varietà di uva bianca e con qualsiasi tecnica di vinificazione, il colore che ne deriva può variare enormemente.

Dove sono nati i vini arancioni?

Da alcuni studi effettuati negli ultimi quindici anni si è pensato che i territori più antichi, dove si produceva il primo vino, fossero quelli del Caucaso, quindi Azerbaijan e Georgia: una scoperta di poco più di dieci anni fa ha invece fatto capire come i primi vini venivano prodotti in Armenia. A Vaytos Dzor, un gruppo di archeologi scoprì un sito antichissimo, risalente a 6.200 anni fa, rinominato Areni-Cave 1, dove trovarono giare contenenti sacrifici umani, con tracce di malvidina e acido tartarico, e diverse presse e strumenti di vinficazione. 

La patria del vino (inclusi i vini arancioni, ovviamente) viene quindi comunemente considerata l’Armenia. Senofonte e Strabone ci raccontano come gli armeni fossero importanti produttori e commercianti di vino, così come la Genesi nell’Antico Testamento, “Nel settimo mese, il diciassette del mese, l’arca si posò sui monti dell’Ararat […] Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda.”. Anticamente la produzione avveniva nei kwevri (o Qvevri), contenitori di argilla sepolti nella terra dove le bucce ed il vino potevano stare a contatto diversi mesi. Ne uscivano fuori vini strutturati, balsamici e tannici. Questo metodo produttivo, espanso in seguito anche nell’Europa Centrale e in occidente, è stato riconosciuto, il 4 Dicembre 2013, patrimonio intangibile dell’umanità da parte dell’Unesco. 

Il territorio armeno è pieno di catene montuose e vulcani spenti, con un clima torrido durante l’estate, rigido durante l’inverno e scarse precipitazioni. Le zone dove si coltiva e si produce vino sono la Valle dell’Ararat, Vaytos Dzor, Aragasotn e Tavush eil Nagorno-Karabakh, e di solito si coltiva sempre oltre i 1000 metri sul livello del mare. Il territorio armeno ha avuto molti vitigni autoctoni. Tra i vini più importanti conosciamo l’Ararati, il Voskehat (molto simile allo Chardonnay francese), il Kangun, l’Arevar e il Burastani tra i bianchi; tra i rossi l’Ararati noir, l’Areni (simile al Pinot Noir per proprietà), il Khndogni, il Repse ed il Sateni. Tutti i vini armeni provengono da un’azienda che si trova nella regione di Armavir e si chiama Karas.

Per maggiori informazioni riguardo alcune degustazioni di vini armeni basta cliccare sul link seguente, Armenia: passato presente e futuro del vino.

Produzione, all’estero e in Italia

I vini arancioni sono una piccolissima ma importante offerta del mondo dei vini. L’epicentro di produzione mondiale racchiude l’area del Nord Adriatico, Slovenia, Italia, Croazia e Austria, e la produzione racchiude piccole aree. In Italia, solo una quindicina di anni fa, Josko Gravner iniziò a sperimentare lunghe macerazioni sulle bucce, all’interno della zona friuliana di Oslavia. Un ritorno al passato e un superamento della vinificazione degli anni ‘90: Gravner insieme a Stanko Radikon, vate delle macerazioni estreme sin dagli anni ‘70,  vengono considerati i visionari innovatori degli orange wine e dei vini naturali.

Proprietà ed abbinamenti in cucina

I vini arancioni si accompagnano bene ai piatti tradizionali delle proprie regioni d’origine. Il loro sapore intenso e la persistenza del retrogusto permettono anche di sostituire un vino rosso a tavola. Di solito vengono abbinati a cruditè di pesce, quindi nella cucina asiatica e giapponese ma anche a piatti di carne con selvaggina, come l’agnello, capretto, salumi di cervo, anatra o formaggi stagionati. Assaporando un buon orange wine a tavola potremmo riconoscerne i sentori di resine, profumi balsamici, eucalipto, balsami e torba, pienezza tannica, corposità. Importantissima è la temperatura di servizio, che deve mantenersi tra i 12 ed i 14 gradi, in modo che si esaltino i profumi.

Per approfondire la particolare tematica dei vini arancioni e ricavarne maggiori informazioni, consigliamo di cliccare sul link seguente, Cos’è il “vino arancione” e perché dovremmo smetterla di chiamarlo così.

Sebastiano Musmeci

Sebastiano Musmeci nasce a Palermo e ha conseguito due lauree, in Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione e in Scienze della Comunicazione Pubblica, d'Impresa e Pubblicità, presso l'Università degli Studi di Palermo. Da sempre appassionato di tecnologia, digital e musica.

  • orange wine
  • vino arancione
  • vino di macerazione

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