Le varietà resistenti di vite come risposta ai cambiamenti climatici

Il vino, una storia più che millenaria
Per andare a trovare le origini della produzione del vino dobbiamo scavare a ritroso fino alla preistoria, periodo in cui si sono riscontrate testimonianze da reperti archeologici nelle terre delle attuali Cina, Georgia, Iran, Grecia e Sicilia, mentre la prima produzione in serie e conservazione in una specie di cantina risalgono sempre allo stesso periodo ma le troviamo in Armenia. Inoltre il vino ha avuto un’importanza tale all’interno della civiltà umana da guadagnarsi nell’antica Grecia una divinità a lui totalmente dedicata, Dioniso, che rimarrà anche nella religione romana sotto però il nome di Bacco.
Ad oggi questo bene tramandato per secoli rischia di sparire a causa dei cambiamenti climatici. Sono infatti numerose le problematiche che i vigneti e di conseguenza il vino stanno subendo, ma per fortuna altrettante sono le soluzioni che si stanno già attuando. Ma queste, come influenzano il prodotto finale?
La crisi del settore viticolo
Secondo una stima di OIV, l’organizzazione internazionale della Vigna e del Vino, nel 2016 in Europa vi erano 3.678.212 di ettari coltivati a vite, con una produzione di uva fresca pari a 28.443.949 di tonnellate, per un totale di 177.604.000 di ettolitri di vino. Altri numeri e percentuali importanti sono però quelli riguardanti l’uso di fitofarmaci nelle coltivazioni viticole, i quali hanno un impatto troppo alto, in contrasto anche con le richieste del mercato, composto da consumatori che, come anche in altri ambiti agricoli e di allevamento, sono alla ricerca di prodotti sempre più salutari e biologici. Tale incongruenza, insieme al calo della produzione già riscontrato nel 2020, dovuto anche alla riduzione della richiesta in seguito alla crisi del settore data dalle conseguenze economiche della pandemia mondiale, porta ripercussioni sia in ambito economico che nel sempre maggiore campo di interesse dell’inquinamento atmosferico e derivanti cambiamenti climatici.
In molti campi dell’agricoltura, ma soprattutto in quello vinicolo, gli agricoltori e i produttori si stanno impegnando già da diversi anni nell’impiegare sempre più risorse al fine di trovare nuovi fondi e idee per cercare di eliminare l’utilizzo di pesticidi sulle coltivazioni, ma allo stesso tempo mantenere standard di qualità elevati e ottenere il maggior numero di prodotto dalle filiere. È purtroppo questo un compito non facile date le numerose insidie che da sempre i contadini si trovano a dover combattere in termini di parassiti, danni atmosferici e malattie che possono insidiare le coltivazioni, le quali si trovano a dover fronteggiare anche nuove mutazioni di pericoli che fino ad ora non si conoscevano e che sono sorte, sempre più forti e resistenti, proprio in seguito ai cambiamenti climatici.
Soluzioni a breve e lungo termine
Le soluzioni che sono state adottate fino ad oggi hanno applicazione sia a breve termine, come ad esempio l’uso di atomizzatori di contenimento e sistemi di supporto alle decisioni basati su modelli epidemiologici, sia a lungo termine come la scelta di terroir con microclimi sfavorevoli allo sviluppo dei patogeni, pratiche colturali adeguate e scelte sulla forma di allevamento.
All’interno delle soluzioni a lungo termine si inserisce la selezione di varietà resistenti alle malattie, le quali vengono poi studiate per essere scelte al fine di creare nuove specie tramite la tecnica dell’innesto, ancora più resistenti, dando vita così a nuove varietà di uva e conseguentemente di vino. Oltre ai vantaggi dal punto di vista della resistenza a patogeni alcuni studi condotti sul territorio nazionale hanno dimostrato che la coltivazione degli innesti induce una riduzione notevole in termini di consumo energetico e di acqua, un minor impatto sulla biodiversità e un minor rischio tossicologico.
Una soluzione ai cambiamenti climatici: le varietà resistenti
Per varietà resistenti, o per meglio dire tolleranti, si intendono varietà con uno o più geni di resistenza alle principali malattie della vite, che richiedono solo due/tre trattamenti l’anno con prodotti a base di zolfo o rame, contro i quindici necessari nelle annate sfavorevoli (ricche di piogge e grandinate o al contrario di siccità). Il lavoro di selezione di queste varietà è iniziato nella seconda metà dell’Ottocento, quando le grandi malattie della vite, quali fillossera, peronospora e oidio, iniziavano a devastare i vigneti europei.
Le prime specie che vennero selezionate furono americane e risultarono molto resistenti alle malattie che stavano flagellando le coltivazioni europee e vennero poi ibridate con altre varietà sempre americane. Con questi primi tentativi di incrocio furono ottenuti quelli che oggi sono chiamati ibridi produttori diretti, piante euroamericane unimembri. Queste varietà, tuttavia, non ebbero un grande successo a causa della loro scarsa resistenza alla fillossera. Furono così tentati nuovi tipi di innesti che hanno dato vita agli ibridi di prima generazione i quali però, seppur altamente resistenti ai patogeni, avevano scarse attitudini enologiche, poiché portatori di una sostanza particolarmente non gradita in Europa.
Lo studio delle varietà resistenti in Italia
In Italia, rimasta spesso ai margini della sperimentazione su nuovi incroci, è stato avviato nel 1998, grazie al lavoro svolto presso l’Azienda agraria universitaria “Antonio Servadei” di Udine, un ampio progetto di ibridazione che ha permesso di creare ed osservare, ad oggi, oltre 24.000 piante derivanti da incrocio. Nel nostro paese ogni nuova ibridazione italiana e non, da un punto di vista legale, passa sotto l’osservazione delle regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, dove possono essere coltivate solo per la produzione di vini IGT (Identificazione Geografica Tipica) e da tavola (Regolamento (Ue) N. 1308/2013, 2018).
Il mercato delle varietà resistenti
Da un punto di vista del mercato, ultimamente sono nate associazioni nazionali e transnazionali di produttori che utilizzano le varietà resistenti, creando veri e propri movimenti culturali e di diffusione commerciale. Il “consorzio” più famoso in Europa e quello dei vini PIWI, abbreviazione di “Pilzwiderstandsfahig”, che significa letteralmente “resistente alle malattie fungine”. Questo movimento punta soprattutto al basso impatto ambientale della coltivazione di queste varietà per la promozione dei loro vini, riscuotendo un discreto successo e interesse da parte di un pubblico sempre più in crescita.
I giovani a salvaguardia di un tesoro inestimabile
Da tutto ciò si deduce ancora una volta come sia il vino, costante della storia dell’uomo ed elemento che non può mancare nelle tavole come accompagnamento e molto spesso esaltazione dei piatti serviti, un mondo ancora tutto da studiare e valorizzare. Sempre più sono le persone che si avvicinano al mondo dell’enologia e apprezzano le meraviglie che si nascondono dietro una semplice bottiglia. Numerosi sono anche gli interessi e gli interessati che gravitano intorno al vino e l’Italia si trova anche in questo campo tra le eccellenze. Per fortuna molti sono anche i giovani che oggi decidono di mettere su loro coltivazioni con annesse produzioni di vini e ci auguriamo che riescano, con la loro freschezza, intraprendenza e maggiore affinità con il progresso e le nuove tecnologie, a portare ancora più in alto il buon nome dei vini Italiani all’insegna della salvaguardia del pianeta e del benessere dell’uomo.
Maggiori approfondimenti riguardo questo tema si possono trovare al seguente link, Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino.

Viola Meacci, nata e cresciuta in un piccolo paesino della provincia di Arezzo, ha portato avanti studi scientifici per gran parte della sua vita. Diplomata presso il Liceo Scientifico Giovanni da Castiglione, prosegue i suoi studi presso il corso di Ingegneria Biomedica, all’Università di Pisa. Le sue capacità organizzative le permettono di gestire un nutrito gruppo di autori. Editrice, Account Manager e User Interface & SEO sono alcune delle sue mansioni attualmente.