Dai timbri alle api, passando per il vino. Trent’anni fa Hubert Ciacci era un “anonimo” impiegato delle Poste: posto fisso, pensione sicura e vita tranquilla. Un calcio a tutto e via, si riparte da capo.
Gli alveari del babbo erano lì, a due passi da casa a Montalcino, ma lui non ci aveva mai fatto caso più di tanto: era l’attività di famiglia (il nonno Agostino l’antesignano) ma per lui il lavoro era l’ufficio alle Poste.
Vita scandita e appesa a un cartellino da timbrare: ogni giorno uguale all’altro.
Ma un giorno il “canto” dell’ape regina risuonò nelle sue orecchie fino a diventare un pensiero fisso. Da lì la decisione: mollo tutto e torno alle api.
Sono passati trent’anni e oggi Hubert è uno dei massimi esperti italiani di apicoltura, presidente dell’Associazione Apicoltori di Siena, Arezzo e Grosseto, “signore dell’oro giallo” di Montalcino e gran timoniere della “Settimana del Miele” (in settembre).
Il padre Valerio è stato un pioniere nel settore: “Faceva il muratore poi capì che le api potevano diventare la sua prima attività”, spiega Hubert mentre “accarezza” le arnie di vetro dove il suo esercito “marcia” vorticosamente: 20 milioni di api suddivise in 400 alveari.
Api “itineranti” come le chiama lui, che di stagione in stagione, tra primavera e autunno, porta in “trasferta”: dal monte Amiata fino alla Liguria, l’Umbria e il Lazio.
Pratico l’apicoltura nomade che mi consente di ottenere ben quattordici tipi di miele. Le mie api viaggiano su un camion particolare che ho costruito ad hoc. Dall’erica di marzo al corbezzolo di ottobre, le api lavorano e presidiano il territorio.
E quando gli chiedi chi glielo ha fatto fare, lui non ha dubbi: “E’ stata una scelta consapevole, volevo tornare a un rapporto diretto con la natura. Questo è un mestiere che fai per una parte in solitudine, ci sei solo tu e le api: emozioni fortissime, ogni giorno mai uguale all’altro. Mi prendo cura di loro come se fossero tanti figli, e loro mi ripagano: il miele e i prodotti che ne derivano ti consentono di vivere bene e in pace col mondo…”.
Non solo miele
Hubert si è “inventato” perfino la grappa e il brandy al miele. Per non parlare del miele di melata, dalle gemme di pioppo, abete, pino o del miele al tartufo, per indicare le tipologie più particolari.
La passione di Hubert è anche diventata policy attraverso la quale difende come un gladiatore la qualità del miele italiano insidiato da importazioni di prodotti di bassa qualità, in arrivo perfino dalla Cina. Il paradosso, tutto italiano, è che il 50 per cento del miele viene importato dall’estero mentre all’estero il miele italiano è richiestissimo.
Convegni, Stati generali del miele, degustazioni, corsi di formazione per non disperdere il know-how, per tramandare conoscenza e un mestiere antico. Hubert gira da un capo all’altro dello Stivale ma senza perdere d’occhio i suoi quattrocento alveari costruiti uno ad uno da solo Villa I Cipressi è il suo quartier generale, laboratorio-azienda di famiglia che nel ’98 ha deciso di investire anche nel vino: Brunello of course.
È stato l’anno in cui venne riaperto l’Albo del Brunello, a fronte della dismissione di alcune vigne e in base al codice ferreo che ne tutela la produzione, si consentì a chi lo desiderava di avviare l’attività su alcuni ettari rimasti orfani”, dice camminando tra i filari mentre il suo Brunello riposa nelle botti di rovere francese in cantina. “Anche qui curiamo le piante come fossero figli, dedizione, cura continua. Ogni vino è diverso dall’altro perchè ogni ettaro di terreno è diverso dall’altro.
Giappone, Cina, Brasile, Corea del Sud le terre di “conquista”. Dario e Federico i figli ai quali Hubert, già da tempo, ha consegnato metà delle chiavi dell’azienda. Entrambi laureati in Enologia, Agraria e Viticoltura, dopo gli studi Hubert ha messo su una società insieme a loro.
Compiti precisi, ciascuno il suo: “Regole e responsabilizzazione è il motto di famiglia. Federico è un grandissimo appassionato di vino. Il vino è il suo regno, in cantina non ci fa entrare nessuno. E’ anche membro della Commissione regionale per l’assegnazione delle Doc e delle Docg dove lo hanno chiamato giovanissimo per la sua preparazione e il suo naso; tanto che lo chiamano ‘il ragazzino’. Dario invece si occupa più specificatamente di marketing e settore commerciale, gira il mondo presentando i nostri prodotti” racconta con l’orgoglio di un padre che vede crescere i figli come il padre Valerio ha tirato su lui, a miele e api.
“Il vino lo crei dalla vigna alla cantina, il miele invece lo crea la cura di ogni fiore. L’ape ti dà un reddito senza bisogno di ucciderla, un tempo veniva fatto con lo zolfo ma mio padre inventò un sistema di estrazione che salvava le api e da allora lo portiamo avanti. Se allevi vitelli poi li devi uccidere e siccome io ho un rapporto molto profondo con la natura e gli animali, mi sono dedicato all’apicoltura”.
Trent’anni di convivenza sono quanto basta per capire e sapere tutto delle sue api: “Capisco se stanno bene o c’è qualcosa che non va dal ronzio che fanno quando apro l’arnia”.
Vino e miele …Social
La finestra sul mondo Hubert l’ha aperta tra i primi in Italia
Comunicare ciò che fai e come lo fai ti consente di avere un rapporto diretto con le persone che poi vengono a visitare l’azienda per rendersi conto di persona e assaggiare i nostri prodotti. Uso i Social anche per ricevere ordini e scambiare opinioni con tutti quelli che mi chiedono della mia attività. E’ uno strumento potente, direi irrinunciabile per un imprenditore se usato con intelligenza. La verità e la qualità di ciò che fai sono la cifra, sopratutto sulla Rete e nel mondo di internet: un passo falso e sei tagliato fuori, anche perchè oggi il cliente è un consumatore consapevole ed esigente, che sa capire, vuole capire.
Apre l’ultimo alveare e sente un ronzio: un attimo in ascolto poi sussurra: “È una specie di pianto: succede quando l’ape regina vecchia muore e ancora non è nata quella nuova”.
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