In occasione del Vinitaly, Andrea Gori, oste e giornalista di Wine Critic, avrebbe dovuto sfidare ChatGPT sul tema vino. Purtroppo la sfida non si è potuta tenere regolarmente come sperato, perché la chatbot di OpenAI ha dovuto rinunciare all’incontro per la decisione del Garante della Privacy che ne ha bloccato l’uso in Italia. Nonostante questo Gori ha condotto un’analisi sulla sfida uomo-macchina e la sua evoluzione, basandosi su dati raccolti prima del blocco.
Andrea Gori vs. ChatGPT: l’analisi dopo il match
ChatGPT scrive in italiano senza errori di grammatica.
È una cosa che mi ha fatto notare Alessandra Biondi Bartolini, giornalista e divulgatrice scientifica, e di cui credo nessuno si sia accorto. Segno di quanto alto sia il livello di raffinatezza linguistica raggiunto dall’intelligenza artificiale e di quanto lo diamo per scontato. Forse già per questo ChatGPT avrebbe meritato la sufficienza.
Tende ad essere verboso.
ChatGPT ripete frequentemente gli stessi concetti. Es. “ … prodotto dall’azienda vinicola siciliana Feudo Disisa, nella regione della Sicilia…” e questo lo fa percepire un po’ noioso, banale e ottuso. Notare comunque la normalità con cui si descrive una macchina con aggettivi normalmente usate per le persone (vedi punto 1).
ChatGPT tende ad essere tanto più verboso quanto più generica e banale è la domanda.
ChatGPT funziona applicando un sistema probabilistico per formulare le risposte. Quanto più ampio il contesto definito dalla risposta e tanto più generica, quindi verbosa, ridondante e noiosa, sarà la risposta.
Non a caso la migliore performance l’ha data quando gli abbiamo chiesto di scrivere una poesia sul Frappato Terre di Giurfo, e qui ha messo a segno l’unico colpo vincente del match.
ChatGPT è ottuso.
Questa è quella che cosa che a noi umani piace tanto dire dell’intelligenza artificiale. E’ ottuso nel senso che darà (quasi) sempre una risposta. Il quasi riguarda ad esempio il fatto che alla richiesta di degustare un vino ChatGPT risponde che non è in grado di farlo; risponde però alla richiesta di descrivere un vino.
Inoltre ChatGPt non fa domande a chi sta parlando con lui per cercare di definire meglio il contesto, ma cerca di accontentarlo come meglio può. Il rischio è che risponda una cosa per l’altra. A noi è successo nelle prove quando abbiamo chiesto di descrivere un vino indicando solo il vitigno ed il nome del produttore, senza quello della cantina, e ha descritto il vino sbagliato.
Non genera pensieri originali, ma elabora la conoscenza (globale) esistente.
La descrizione migliore data da ChatGPT è stata quella del Passito di Pantelleria DOC Ben Ryè di Donnafugata, uno dei vini dolci italiani più celebri. Ovvero un vino di cui sulla rete si trovano moltissime informazioni, da fonti diverse.
La peggiore è stata quella delDon Tindaro 2016 – Gaglio Vignaioli prodotto nella DOC Mamertino, una delle denominazioni siciliane meno conosciute.
Le implicazioni sono tanto vaste quanto ovvie: nella misura in cui si diffonderà l’utilizzo di ChatGPT e sistemi simili, per ottenere informazioni dal web da parte delle persone diventerà sempre cruciale che le informazioni presenti siano complete ed accurate. Ovvero che il sistema di comunicazione del vino fatto da produttori, comunicatori, influencers, opinion leaders, ecc… non dica “bischerate”, come le ha chiamate Andrea Gori nell’introduzione della degustazione.
Per vedere l’andamento della sfida in occasione del Vinitaly